Il colloquio psicologico tra il dire e il fare…

L’idea più comune di “colloquio psicologico” vede due persone (terapeuta e paziente) seduti in una stanza, più che altro statici (a parte qualche momento di gesticolazione più consistente) e intenti a parlare per districare una sorta di matassa di pensieri, preoccupazioni o difficoltà che, grazie all’intervento psicologico, potranno essere meglio organizzati in un elegante quanto ordinato gomitolo. Le immagini che si trovano nel web rafforzano questa idea di colloquio psicologico e in un certo senso rispecchiano almeno in parte quello che lo psicologo ed il suo paziente sono impegnati a fare.

Non solo parole…

Detto questo è importante sottolineare che in seduta il coinvolgimento del paziente e del terapeuta non è legato esclusivamente a ciò che viene espresso verbalmente: il paziente che entra in seduta viene accolto nella sua totalità e considerato per quello che dice sia da un punto di vista verbale che non verbale. Allo stesso modo il paziente osserverà il terapeuta e considererà non solo quanto detto, ma anche come questo viene detto, come il terapeuta si presenta e tutto l’aspetto del non verbale che spesso “dice molto più di mille parole”.  Questa considerazione è tanto più importante se pensiamo a tutte quelle situazioni in cui non è possibile o comunque diventa estremamente difficile strutturare un intervento basato su mentalizzazioni complesse che richiedono ragionamenti molto astratti. Un esempio possono essere le sedute effettuate con i bambini i quali possono trovarsi in difficoltà nel trovare le parole adatte per esprimere e descrivere il proprio vissuto. Al contrario la loro naturale spontaneità e trasparenza rendono invece possibile l’impiego di tecniche più incentrate sul fare, sul movimento e sul gioco interattivo che restituiscono competenza espressiva al bambino, facendo emergere in seduta linguaggi impliciti che altrimenti resterebbero inespressi.  Non solo i bambini  possono trovarsi in difficoltà nel trovare parole in grado di esprimere i propri vissuti,  pensiamo ad esempio a pazienti psicotici o adolescenti o più in generale a persone che si sentono maggiormente in difficoltà nel lavorare su determinati argomenti come ad esempio la sessualità. In questi casi non incentrare esclusivamente l’intervento sul linguaggio verbale  può fornire un ventaglio di possibilità espressive molto più vasto.

Le tecniche d’impatto

Scrive  Danie Beaulieu “il linguaggio delle parole, intrecciandosi con quello degli occhi, del corpo e del silenzio crea le basi per un incontro autentico e creativo tra chi è animato dal desiderio di comprendere e riattivare risorse e chi, esprimendo un bisogno o una difficoltà, cerca una strada per progredire, sentendosi più competente nel guidare i propri destini evolutivi”.

Come coinvolgere in seduta (sia essa individuale, di coppia o famigliare) la totalità della persona? Una possibilità è costituita dalle cosiddette Tecniche d’Impatto ossia tecniche volte a coinvolgere la persona non solo sul piano verbale, ma anche sul piano corporeo e del fare, riuscendo ad essere vissute come una sorta di “gioco”. Questo non significa togliere valore o serietà al lavoro svolto in seduta quanto piuttosto generare un contesto sicuro entro il quale poter sperimentare e venire a contatto con contenuti e vissuti propri o altrui anche difficili da accettare o molto delicati per la persona. Il gioco infatti può essere considerato il precursore della funzione riflessiva: si pensi ad esempio alla Klain le cui osservazioni sul gioco del bambino hanno fatto emergere una funzione non più solo ludica, ma legata all’elaborazione di situazioni emotive e affettive complesse che in questo modo il bambino riusciva a comprendere e controllare. Queste considerazioni sul gioco mantengono la loro importanza anche per quanto riguarda il lavoro con gli adulti. Il gioco continua ad essere una modalità molto funzionale per elaborare o rielaborare in seduta situazioni scomode e complesse senza che chi viene coinvolto si senta attaccato o in qualche modo entri in una posizione difensiva. Nel lavoro con la coppia ad esempio molte di queste tecniche vengono impiegate per ritrovare quella sintonia che per un motivo o per l’altro i due membri sentono di aver perso!

Per concludere

Per concludere, vorrei sottolineare l’importanza che queste tecniche rivestono nel lavoro con le famiglie (Telfener,2013) in quanto permette ai loro membri di rimettersi in gioco in un contesto protetto, riattivando le loro risorse e arrivando a costruire assieme al terapeuta un nuovo modo di vedere e vivere la vita famigliare e la sua storia.

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