SOS Bullismo

Pochi sanno che nel 1997 venne pubblicato il primo libro che intendeva fare luce sul fenomeno del bullismo in Italia presentando dati che coinvolgevano le regioni italiane dal Piemonte alla Sicilia. La ricerca, iniziata qualche anno prima, fu coordinata da Ada Fonzi la quale, con il suo lavoro all’epoca pionieristico, portò alla luce per la prima volta nel nostro paese il “bullismo”. Da allora molte cose sono cambiate! Si perché il fenomeno che chiamiamo “bullismo”, pensando così di inquadrarlo una volta per tutte in maniera quasi monolitica e costante, non è altro che il frutto di un modo di pensare, di agire e di sentire che caratterizzano una società: essendo quest’ultima in continuo cambiamento e mutazione non è possibile pensare che i fenomeni/dinamiche che si sviluppano al suo interno rimangano immutati negli anni tantomeno i fenomeni/dinamiche di tipo relazionale.

Data la complessità che caratterizza l’argomento non è possibile basare la trattazione esclusivamente sulle informazioni che vengono passate, o anzi smerciate, sui social e dai media. Dati Istat del 2014 (consultabili da tutti attraverso il portale www.istat.it) riportano alcuni numeri sul fenomeno che fanno riflettere.

  • Nel 2014, poco più del 50% degli 11-17 enni ha subito qualche episodio offensivo, non rispettoso e/o violento da parte di coetanei, di questi il 19% è vittima assidua di una o più delle tipiche azioni di bullismo che si ripetono più volte al mese e per il 9,1% tali atti di prepotenza si ripetono con cadenza settimanale.
  • All’interno del range 11-17 i ragazzini dagli 11 ai 13 anni sono risultati essere maggiormente soggetti ad episodi di violenza e/o bullismo, mentre tra gli adolescenti coloro che frequentano il liceo riportano situazioni vessatorie e/o di bullismo con una frequenza maggiore rispetto ai coetanei nei professionali o negli istituti tecnici.
  • Le prepotenze più comuni consistono in offese, soprannomi, parolacce o insulti (12,1%), derisione per aspetto fisico e modo di parlare (6,3%), diffamazione (5,1%), esclusione per le proprie opinioni (4,7%), botte (3,8%).
  • Tra i ragazzi che dichiarano di usare cellulari e/o internet, il 5,9% denuncia di aver subito ripetute azioni vessatorie: le ragazze sono più frequentemente vittime di cyber bullismo(7,1% contro il 4,6% dei ragazzi)

Questi sono solo alcuni dei dati che sono stati riportati nell’indagine. é importante sottolineare che quando si parla di atti vessatori non si parla di bullismo: subire atti vessatori non costituisce automaticamente bullismo!Nella ricerca Istat difatti tali atti vengono differenziati dal cosiddetto bullismo. Ma allora quando parliamo di bullismo a cosa ci stiamo realmente riferendo? Bullismo e cyber bullismo possono essere ricondotti ad una medesima definizione? Cosa li differenzia? Quali azioni potrebbero essere intraprese per prevenire lo sviluppo di situazioni critiche?

Bullismo: di cosa stiamo parlando?

Quando si parla di bullismo “si indica generalmente il fenomeno delle prepotenze (fisiche e/o verbali) perpetrate da bambini e ragazzi nei confronti dei loro coetanei. La sua definizione si basa su tre principi fondamentali: intenzionalità, persistenza nel tempo, asimmetria nella relazione“. Tale definizione riportata nel documento Istat (che potrete consultare al link sottostante) implica una sostanziale differenza tra atti vessatori e atti propri del bullismo.

Come prima cosa per parlare di quest’ultimo fenomeno l’intenzionalità appare essere uno dei tre requisiti fondamentali: vi deve infatti essere la volontà di provocare danno e/o sofferenza (sia essa psicologica o fisica) da parte di chi perpetua tali atti. Si escludono allora tutte quelle azioni che involontariamente causano un qualche tipo di lesione o malessere ad un terzo. Bhè direte voi, anche gli atti vessatori sono caratterizzati da volontà di fare del male! Allora andiamo avanti…

La persistenza nel tempo è il secondo dei requisiti menzionati: chi può dire di non essere mai stato oggetto di vessazioni fisiche o verbali nella storia della sua vita? Ciò che differenzia il bullismo propriamente detto è la persistenza di tali atti nel tempo, ossia subire vessazioni per periodi prolungati con frequenza variabile ( la frequenza non sembra essere considerata una caratteristica distintiva di tale fenomeno). Ebbene, atti vessatori possono essere portati avanti per una vita, si pensi alla rivalità tra bande o squadre diverse. Benissimo, continuiamo…

Il terzo criterio, forse quello più discusso e preso di mira da studiosi e psicologi, è la presenza di asimmetria nella relazione tra chi porta avanti gli atti e chi li subisce. Su tale criterio si strutturano le definizioni più disparate che confluiscono nei termini di  bullo (per chi vessa) e vittima (per chi viene vessato), definizioni a volte date per scontate e portate avanti da articoli e telegiornali, altre volte criticate per la loro ristrettezza e bassa capacità di rappresentare le persone ed il loro ruolo in gioco. Difatti nella rappresentazione comune il bullo è grosso, brutto e cattivo, mentre la vittima è piccola, magra, bruttina e spesso molto brava nello studio. Si tratta di stereotipi importati da telefilm e cartoni americani che tralasciano spesso una cosa: l’asimmetria nella relazione non è una questione prettamente fisica. Ci sono casi in cui il bullo è alto un metro e 30 e pesa si e no 40 kg! L’asimmetria è anche psicologica e comportamentale, l’asimmetria è anche nel supporto e nel riconoscimento di cui il “bullo”gode tra i coetanei!

A questo proposito, un aspetto poco menzionato, ma che a mio avviso dovrebbe entrare nella definizione di bullismo come quarta caratteristica, è la presenza dei compagni. Anche se la dinamica dovesse vedere un bullo e una vittima, tale dinamica sarebbe sempre inserita in un contesto di gruppo dove gli “altri” svolgono un ruolo decisivo. Basti pensare che i dati Istat hanno rivelato come il 23,6% degli 11-17 enni che non hanno una rete amicale sia vittima di prepotenze, contro il 18% riscontrato tra chi gode di una solida rete amicale. Insomma quando si interviene in situazioni di prevaricazione o di conclamato bullismo (definito in base alle caratteristiche prima elencate) bisogna sempre prendere in considerazione il gruppo dei pari. Questo diventa tanto più importante quando siamo in presenza di atti di bullismo che richiedono un certo grado di complicità da parte del gruppo. é il caso dell’isolamento sociale (attuato soprattutto dal genere femminile) in cui tutto il gruppo è chiamato ad isolare la persona oggetto delle vessazioni.

Insomma, quante variabili in gioco!

Dati Istat

Bullismo e cyber bullismo: sono la stessa cosa?

No! Si tratta di due fenomeni simili, ma non identici. In ambito accademico una falange di ricercatori e professori sostiene, non a torto, che la nascita di tali termini (bullismo e cyber bullismo) venga dettato da esigenze di mercato, ossia da media che devono a tutti i costi trovare nuove notizie per attirare la curiosità e l’attenzione di ascoltatori sostanzialmente desiderosi di ottenere definizioni facili ed immediatamente comprensibili a scapito della veridicità e complessità della notizia. Se da una parte tale critica è condivisibile, dall’altra è inutile negare che ormai tutto ciò è entrato a far parte delle costruzioni di senso della popolazione! Non considerare tali termini in ambito accademico vorrebbe dire negare una costruzione di senso attraverso la quale la società esprime un disagio. Le persone ormai usano questi termini per esprimere una sofferenza, per darle un nome ed un senso che altrimenti verrebbe a mancare. Compito di noi psicologi è quello ci rendere fruibili tali termini ed il più possibile rappresentativi del malessere riportato così da trovare non solo una definizione (mutevole si ma precisa), ma anche possibili prassi per affrontare il disagio.

Detto questo sottolineo come la differenza sostanziale tra questi due fenomeni sia legata allo strumento che viene usato per portare avanti atti vessatori. La rete ha ampliato in modo quasi illimitato i confini spaziali rendendo possibile una diffusione tanto rapida quanto capillare di insulti, immagini e vessazioni a livello praticamente mondiale. A questo si unisce una sostanziale diffusione di responsabilità per cui “tutti lo hanno condiviso perché io non posso?”. La rete inoltre consente di non esporci in prima persona e in modo diretto con la vittima e la società: lo testimonia il cosiddetto fenomeno dei leoni della tastiera, spesso agnellini nel mondo reale che possono così scaricare in modo virtuale la loro frustrazione. A fronte di questa modalità virtuale assistiamo però a ricadute estremamente reali che vedono colui che subisce la vessazione attaccato a livello personale da un numero incredibile di persone che neanche conosce. Immaginate la sensazione di isolamento che si viene a generare, non solo! Pensate alla frustrazione derivante dall’impotenza: una volta in rete e condiviso il contenuto circola senza possibilità (perlomeno immediata) di fermarlo. Nessun adulto, insegnante o genitore, avrà il potere di fermare, “bloccare” la situazione. Ecco quindi le sostanziali differenze tra bullismo e cyber bullismo, ed ecco perché è importante distinguere i due termini. La radice è insomma la stessa: vessazioni continue e volte e provocare danno e malessere, ma è nella modalità che si originano le differenze che richiedono interventi diversificati!

Cosa fare?

Le situazioni e le modalità con la quale il fenomeno del bullismo e quello del cyberbullismo si esprimono sono molto diverse. Per questo motivo ad oggi e ( forse mai ) è possibile formulare un progetto di intervento valido universalmente.

Cosa fare allora? Dai dati Istat è emerso che

per difendersi dai bulli il 65% degli 11-17 anni ritiene opportuno chiedere aiuto ai genitori ed agli insegnanti“. In altre parole La figura adulta rimane fortunatamente un elemento chiave per bambini ed ragazzi coinvolti in situazioni di bullismo. Questo dato ci dovrebbe far riflettere sull’importanza che noi adulti possiamo ancora ricoprire all’interno del fenomeno bullismo e cyberbullismo. Cosa potrebbe aiutare i nostri ragazzi a non cadere nelle insidie di dinamiche improntate alla violenza (fisica e/o verbale)? Innanzitutto noi adulti (psicologi, genitori, insegnanti, nonni e qualsiasi adulto di riferimento) possiamo o meglio dobbiamo ricoprire un ruolo fondamentale nel favorire la crescita di nuovi adulti competenti emotivamente o “emotivamente intelligenti“. Paul Ekman (professore emerito di Psicologia dell’Università della California a San Francisco)sostiene che dietro ogni problematica comportamentale possa in realtà celarsi un disagio emotivo non espresso o gestito male.Dunque essere emotivamente intelligenti (capire le proprie emozioni e quelle altrui)”può aiutare a sviluppare una comunicazione empatica capace di disinnescare le emozioni distruttive” (Paul Ekman in una intervista rilasciata alla rivista “Psicologia Contemporanea”). Questo è il primo, ma fondamentale passo utile alla prevenzione del bullismo e di qualsiasi atto di prevaricazione.

Cosa può fare lo psicologo?

Lo psicologo in questi casi agisce a livello del gruppo classe implementando la cooperazione e lo sviluppo di nuove strategie comunicative e di gestione dei conflitti in classe. Ricordo infatti che il fenomeno bullismo è caratterizzato dalla presenza di un contesto che contribuisce al mantenimento della situazione. Agendo solo su “vittima” e “bullo” si rischia di vanificare l’intervento in quanto il sistema che li ospita potrebbe riportarli alla situazione iniziale. Ricordiamo infatti che qualsiasi dinamica si sviluppa in quanto funzionale al sistema in cui si trova! Lo psicologo insomma aiuta a riconfigurare non solo le dinamiche tra gli attori direttamente interessati, ma anche tutte le dinamiche del gruppo classe stimolando le competenze emotive e le risorse di ogni singolo alunno.

Cosa si può fare in caso di cyberbullismo? Per rispondere a questa domanda vi invito a cliccare sul link sottostante! Buona visione!

D.ssa Giulia Alberini